Lettera aperta a tutte/i le/i comuniste/i italiane/i – tra i primi firmatari: Losurdo, Giannini, Hack, Pagliarini, Moro, Hobel e altri
Agli aderenti all’appello del 17 aprile 2008 “Comuniste e comunisti uniamoci!”
A tutte le comuniste e i comunisti
1. Il contesto nel quale matura l’appello
Il contesto nel quale matura nell’aprile 2008 l’appello per l’unità dei comunisti è quello in cui, con il disegno dichiarato di dar vita ad un soggetto politico non comunista, il leader del Prc Bertinotti e il gruppo dirigente a lui legato sta portando a compimento il lungo lavorio di demolizione della cultura e della tradizione comunista. La fine dell’ingloriosa esperienza nel governo Prodi e la debacle elettorale dell’Arcobaleno, che porta, per la prima volta nella storia italiana, all’esclusione dei comunisti dal parlamento, rendono più acuta e drammatica la questione comunista.
Le cause prossime della débacle possono essere individuate nella fallimentare partecipazione al governo Prodi, quelle profonde nella storia italiana post 1989 e nel modo in cui le residue forze comuniste si sono mosse, senza la capacità di elaborare una linea strategica e di tradurla nella pratica, costruendo un partito comunista all’altezza della sfida dei tempi (come avviene invece, rispetto ai loro contesti, in altri paesi europei, quali ad esempio Grecia, Portogallo e Cipro).
L’appello rilancia la prospettiva della ricostruzione comunista e di un possibile processo unitario, a partire dai due partiti Prc e Pdci, col coinvolgimento dei compagni non aderenti a quei partiti o che li avevano attraversati e poi abbandonati per varie ragioni, legate in buona parte all’insoddisfazione per la linea politica e la gestione interna della vita di partito, nonché quei gruppi, circoli o individui che sin dall’inizio non hanno aderito al PRC, proprio per la debolezza ideologica che ha caratterizzato questa formazione: la cosiddetta “diaspora comunista”.
2. Gli sviluppi successivi
Nell’estate 2008 il congresso del Pdci rompe col “governismo” (esponendosi ad una scissione da destra), sviluppa una riflessione autocritica non solo su se stesso ma anche sulla storia del PRC in generale e, raccogliendo l’appello, pone al centro della sua iniziativa politica l’unità dei comunisti, proponendola in primis al Prc.
Il Prc, al congresso di Chianciano, riesce ad evitare, di stretta misura, che prevalga il disegno liquidazionista dell’esperienza comunista promosso da Vendola, ma le componentifavorevoli all’unità dei comunisti sono in minoranza. La situazione è complicata altresì dal fatto che la consistente minoranza vendoliana rimane nel Prc per diversi mesi ancora dopo il congresso, ostacolando e remando contro l’attività del partito. La scissione, dopo un’agonia di mesi, si consumerà solo a primavera 2009, quasi a ridosso delle elezioni europee.
La spinta all’unità comunista del Pdci nel suo complesso e di “aree” interne al Prc, porta – di fronte alla necessità di unire le forze per superare la soglia del 4% appena introdotta per le elezioni europee – alla formazione della lista unitaria.
3. Divergenti concezioni del processo unitario
In alcune città si sono intanto costituiti comitati spontanei di “Comunisti Uniti”, che danno vita ad assemblee di discussione interna e ad alcune iniziative. Vi sono tuttavia alcuni nodi non risolti all’interno di essi.
3.1. La questione del come e con chi fare l’unità dei comunisti
A. Da un lato vi è chi ritiene che, per la costruzione del partito comunista e la realizzazione del processo unitario, sia, nella situazione concreta esistente e dati gli attuali rapporti di forza, fondamentale e imprescindibile il ruolo del Pdci, partito comunista strutturatonazionalmente per quanto notevolmente ridimensionato ed eroso, che al suo congresso dell’estate 2008 (pagando il prezzo della scissione dell’ala destra filovendoliana) ha varato la linea dell’unità dei comunisti, promossa in prima persona dal suo segretario e dal gruppo dirigente. E con esso, di importanti settori del PRC, che sia pure con accentuazioni diverse si oppongono al liquidazionismo dell’autonomia comunista.
B. Altri richiedono invece, pur tra sfumature diverse, l’esclusione, il “farsi da parte” o la “messa in mora” dei dirigenti politici del Pdci, in primis del suo segretario, e del Prc (tra i sostenitori del processo di unificazione), imputati in blocco quali responsabili della debacle del comunismo italiano e ritenuti quindi non parte della soluzione, ma parte fondamentale del problema. I fautori di questa posizione di conseguenza cercano diutilizzare il movimento di CU non per rafforzare il Pdci e quelle aree del Prc che si battono, in una situazione oggettivamente e soggettivamente molto difficile, per l’unità comunista, ma per favorirne l’erosione e la frantumazione, nella convinzione che solo dopo la loro dissoluzione sarebbe possibile una rinascita del comunismo italiano, ad opera principalmente e fondamentalmente dei militanti di “base” contrapposti ai vertici e dei “comunisti senza partito”. Questa posizione porta alcuni a boicottare consapevolmente il voto alla lista unitaria di Prc e Pdci alle europee di giugno 2009, o astenendosi dal votare, o spostando i voti su altre liste quali l’IdV di Di Pietro.
Questa posizione cerca di coagulare tutti gli scontenti e gli “impazienti” – e in una situazione così difficile ce ne sono giustamente tanti - sulla base di un discorso radical-massimalisticofondato essenzialmente su:
a) contrapposizione di “base” a “vertice”, “operai” a “dirigenti politici” (nel febbraio 2009 qualcuno avanzò la proposta di una lista composta di soli operai per le europee);
b) questione delle alleanze: mai più Prc e Pdci dovevano stringere alleanza con il Pd per le elezioni (tanto amministrative che politiche).
3.2 La contrapposizione di “base” e “vertice”
Sul primo punto, ci sembra che contrapporre base a vertice, diretti a dirigenti, presupponendo una “bontà” della base ed una “cattiveria” dei dirigenti, riproponga, in termini molto più rozzi, le vecchie teorie sulla “burocrazia” che avrebbe scippato ai proletari russi la rivoluzione d’ottobre. In realtà, nella storia del movimento comunista, quando è stata agitata la bandiera della “base” contro il “vertice” si è trattato di un’acuta lotta politica nel gruppo dirigente del partito per sostituire un nuovo “vertice” al vecchio. Si chiede di “sparare sul quartier generale”, per impiantare un nuovo quartier generale, posto che un partito comunista si struttura sempre in gruppi dirigenti ai vari livelli, in rapporto con la “base” dei militanti. (Il problema è piuttosto come si costruisce il rapporto dirigenti-diretti, come si realizza, attraverso quali sedi e meccanismi decisionali, la democrazia interna al partito).
3.3. La questione elettorale e delle alleanze
Rispetto ad essa i comunisti – nella storia del comunismo italiano e internazionale – si sono confrontati con le posizioni astensioniste, giudicandole alla stregua di “estremismo” infantile (Lenin). La giusta critica al parlamentarismo borghese, all’“elettoralismo”, alla degenerazione dei partiti socialdemocratici della II Internazionale, che avevano finito col subordinare tutta l’azione politica del partito ai gruppi parlamentari, alla dipendenza del partito comunista e della sua azione fondamentalmente ed esclusivamente dalle elezioni e dal risultato elettorale, non doveva assolutamente sfociare in indifferenza rispetto al momento elettorale o, peggio, in rifiuto di partecipare alle elezioni, pur essendo pienamente consapevoli che in regime di dominio capitalistico non sono certo i comunisti a dettare le regole del gioco, salvo in momenti in cui, come nell’Italia uscita dalla Resistenza, i rapporti di forza tra le classi, consentirono di scrivere una Costituzione democratico-sociale. Quella Costituzione – mutati i rapporti di forza interni e internazionali con la dissoluzione dell’URSS e del PCI – è stata profondamente colpita nel 1993, con l’abolizione del sistema elettorale proporzionale e il passaggio al sistema maggioritario, nelle varie formule che si sono via via succedute fino ad oggi. È con le condizioni oggettive poste dal sistema elettorale che i comunisti devono concretamente confrontarsi e scegliere la tattica migliore che consenta loro di conseguire il risultato della rappresentanza politica nelle istituzioni, senza rinunciare alla propria azione autonoma comunista. Il che è facile a dirsi e molto difficile a praticarsi, soprattutto se si è in una situazione di debolezza organizzativa, di scarso radicamento sociale, come è di fatto per Prc e Pdci.
La questione non può porsi nei termini perentori del radicalismo astratto: col Pd mai alleanze elettorali. La storia del comunismo del 900, del resto, ci racconta anche di patti stretti – in una determinata situazione storico-concreta! – con forze liberali borghesi, quando non reazionarie.
Il problema è prima di tutto la valutazione della situazione, quella analisi concreta della situazione concreta cui invitava Lenin, l’analisi dei rapporti di forze, che Gramsci affronta nei Quaderni del carcere. Il problema è se la scelta di un’alleanza tattica in una data fase storico-politica consente il rafforzamento e l’avanzata delle forze comuniste (in alcuni casi la loro stessa sopravvivenza istituzionale), o se ne favorisce invece l’arretramento e l’indebolimento. Il problema è come si sta in determinate alleanze, come si conduce la propria azione politica, come si prende l’iniziativa, come ci si rapporta alla propria “base” e classe di riferimento. Il problema è se vi è un’efficace direzione politica che sappia difendere e sviluppare l’autonomia comunista, o se essa è oscillante e subalterna. Il problema è se si affrontano le situazioni con l’arma forte della dialettica materialista oppure con quella apparentemente “radicale”, ma in realtà subalterna, del massimalismo astratto.
Dopo la débacle elettorale dell’Arcobaleno nel 2008 si sono diffuse valutazioni sommarie e semplicistiche della breve partecipazione dei comunisti nel governo Prodi bis (2006-2008), preferendo la facile scorciatoia di spiegazioni superficiali e talora meramente propagandistiche, piuttosto che una discussione “alta” e complessa, di natura sia tattica che strategica, che va tenuta aperta tra i comunisti, se sia possibile o meno, a quali condizioni e in quali contesti, partecipare in coalizione con governi e partiti borghesi, o se questo non sia un errore fatale, che porta i comunisti o ad essere ingabbiati, integrati, fagocitati “socialdemocratizzati”, o a rompere la connessione fiduciaria con il proletariato e con la propria base sociale di riferimento.
È una discussione che riguarda anche la valutazione se l’attuale fase capitalistica di crisi strutturale e di concorrenza intercapitalistica globale sia compatibile con alcune concessioni meno sfavorevoli al proletariato, oppure se – pur di fronte ad una ripresa della lotta diclasse del proletariato – la classe capitalistica non abbia margini per tali concessioni. Un’analisi della fase attuale e delle sue implicazioni e ricadute politiche che i comunisti dovrebbero impegnarsi a condurre seriamente, piuttosto che abbandonarsi a slogan facili e semplificatori. Quando lo slogan non è il risultato di un’analisi ma si sostituisce ad essa, prevale la demagogia. Spesso i proclami massimalistici e “muscolari” sono dei succedanei dell’analisi, come nelle peggiori tradizioni del socialismo italiano, e sono anche il segno di un grande degrado della situazione politica dei comunisti oggi, la cui azione dovrebbe essere consapevole e rivolta al fine.
Assumere un atteggiamento “estremista” significherebbe isolarsi rispetto al movimento comunista internazionale, che non lo comprenderebbe, poiché dai comunisti italiani si attende un contributo alla lotta contro Berlusconi, che rischia di costituire un modello a livello internazionale.
Fare della questione elettorale e delle alleanze – ponendo dei limiti tassativi e invalicabili (mai con il Pd, ecc.), avulsi dall’analisi della fase e dei rapporti di forza – una questione dirimente per il processo di unità e autonomia strategica dei comunisti, significa rovesciare l’ordine delle priorità e confondere, consapevolmente o meno, questioni tattiche con questioni strategiche. Trasformare una questione tattica in una questione dirimente rende impossibile quell’unità dei comunisti che si dice di volere, significa distruggere il senso stesso del partito leninista. Non è assolutamente ciò di cui abbiamo bisogno.
4. La Federazione della sinistra
La lista unitaria alle europee di giugno 2009 non riesce a superare lo sbarramento e adinviare quindi propri rappresentanti al parlamento europeo, pur marcando una controtendenza rispetto a quello del 2008, quando l’Arcobaleno, in cui erano anche verdi e “vendoliani”, era al 3%. Il risultato elettorale di giugno 2009 segna una battuta d’arresto nel processo di possibile unificazione tra Prc e Pdci, dando fiato alle correnti interne al Prc, ancora fortemente influenzate dal “bertinottismo”, nettamente e pregiudizialmente contrarie all’unità dei due partiti.
In questa impasse prende corpo la proposta di Federazione della sinistra, che ha come pilastri portanti il Prc e il Pdci.
La nascita della Federazione lascia l’amaro in bocca a molti compagni che aspirano all’unità dei comunisti e la vedono come l’abbandono definitivo del progetto di unità, l’inglobamento dei comunisti all’interno di una vaga sinistra “radicale” e il ritorno, sotto altre forme, del progetto “arcobalenista”: la Federazione insomma come antidoto all’unità dei comunisti, o come rinvio di essa alle calende greche. La federazione è attaccata anche da “destra”, da chi nel Prc teme che essa -imperniata su PRC e PdCI – possa rappresentare un primo passo verso una più organica unità dei comunisti in un solo partito.
È innegabile che il progetto di una graduale trasformazione della federazione in una sorta diLinke all’italiana sia una possibilità concreta, coltivata in alcuni settori del Prc. Ma ciò puòconcretizzarsi solo se vi fosse un abbandono del progetto da parte delle forze comuniste, in particolare del Pdci, che – diversamente dall’ernesto, che non è che una componente di minoranza nel Prc - è un partito con una struttura e presenza nazionale, seppur in difficoltà politico-organizzative.
La critica “sinistra” alla Federazione manca di dialettica, vede solo il lato negativo di essa – il fatto di rappresentare un passo indietro (dettato purtroppo dalla situazione concreta dei rapporti di forza!) rispetto all’aspirazione dell’unità dei comunisti – ma non vede l’altro lato, il fatto che, comunque, essa è una casa comune in cui si incontrano anche le forze comuniste, e in cui i compagni possono lavorare a fianco a fianco, nella pratica sociale e politica. Il modo in cui si svilupperà la contraddizione della federazione dipende dall’attività che in essa i comunisti sapranno dispiegare e dipende dal mantenimento di un partito comunista orientato al progetto di unità comunista, quale il Pdci. Se questo partito dovesse frantumarsi o sciogliersi, anche la Federazione assumerebbe un altro colore e l’attuale natura della Federazione – quale unità d’azione tra forze comuniste e di sinistra, tra loro unite ma culturalmente e politicamente autonome – potrebbe degenerare in virtù di unaspinta, già ora presente in alcune aree del Prc ed in aree della sinistra movimentista, volta alla trasformazione della Federazione in una nuova organizzazione partitica di sinistra, sulla scorta, essenzialmente, del precedente progetto di Bertinotti e Vendola.
5. L’Associazione Marx XXI
È in questo contesto che matura nell’autunno 2009 la proposta di dar vita all’associazioneMarx XXI, concepita per rispondere ad un tempo a due esigenze fondamentali:
a) contribuire all’elaborazione teorica marxista e comunista, che, in quanto tale, significa anche contribuire allo sviluppo di un programma politico per i comunisti, impegnandosi a tradurre l’elaborazione teorica “alta” in indicazioni e linee di azione adeguate alla fase politica. La carenza o la debolezza di tale elaborazione è stata una delle cause principali del decadimento del comunismo italiano;
b) articolarsi sul territorio nazionale (ad es. a livello provinciale), proponendosi comeassociazione di massa, nella quale i comunisti – del Pdci, Prc, e senza partito – possano lavorare insieme in iniziative locali di carattere politico-culturale.
Questi due “pilastri” dell’associazione sono inscindibili, entrambi volti a quel “lavoro politico teso alla riunificazione in Italia delle forze che si richiamano al marxismo e al comunismo”, come recita l’articolo 3 dello Statuto dell’Associazione. L’associazione può essere un essenziale strumento di “transizione” per rimettere al lavoro i comunisti, per consentire loro una piena autonomia ideologica, teorica, politica; lo strumento, la forma organizzativa adeguata – sulla base dei rapporti di forza oggi esistenti – all’attuale fase, lo strumento che mette in moto consapevolmente un processo unitario su basi politiche e ideologiche non eclettiche.
La partecipazione alla sua assemblea costitutiva del segretario del Pdci è un chiaro segnale dell’importanza che ad essa viene attribuita anche da quel partito che dal congresso del2008 ha fatto proprio l’appello per l’unità comunista. Marx XXI è in un certo senso la prosecuzione reale e concreta, nell’attuale fase, dell’appello del 2008 e delle sue aspirazionidi fondo. Essa concretizza quell’appello, nella situazione data, nei rapporti di forza esistenti. L’Associazione Marx XXI può contribuire a sviluppare concretamente il processo unitario volto allo sviluppo in Italia di un partito comunista: un centro di elaborazione e dibattiti, di formazione teorico-politica per i giovani, di iniziative a tutto campo nella vita sociale che sviluppino conoscenza e consapevolezza comunista.
Chi ha seriamente a cuore il progetto di unità e ricostruzione comunista nelle condizioni storico-concrete dell’oggi – guardando cioè alle forze effettivamente in campo – è invitato a lavorare nell’associazione Marx XXI, quale strumento essenziale per la ricostruzione di una politica comunista.
Domenico Losurdo, Filosofo
Margherita Hack, Astrofisica
Manlio Dinucci, Saggista - collaboratotre de il Manifesto
Andrea Catone, Storico del movimento operaio – direttore de l’Ernesto
Mario Geymonat, Filologo classico
Guido Oldrini, Docente universitario, Direttore di “ Marxismo Oggi”, Presidente dell’Associazione Culturale Marxista
Domenico Moro, Economista
Alexander Höbel, Storico del movimento operaio
Francesco Polcaro, Ricercatore presso l’Istituto di Astrofisica di Roma
Giorgio Inglese, Docente di italianistica – Università La Sapienza,Roma
Paola Pellegrini, Ufficio Politico PdCI
Fosco Giannini, Direzione nazionale PRC
Fausto Sorini, Direzione Centro Studi “Correspondances Internationales”
Carla Nespolo, Già Senatrice -Presidente Istituto Storia della Resistenza, Alessandria
Gianni Pagliarini, Responsabile Lavoro PdCI
Elena Ferro, Segretaria Filcams Cgil – Torino
Giusy Montanini, Direttivo FIOM-Marche
Francesco Francescaglia, Responsabile Esteri PdCI
Flavio Arzarello, Coordinatore Nazionale FGCI (giovani PdCI)
Francesco Maringiò, Responsabile Dipartimento “Solidarietà internazionale” PRC
Bassam Saleh’, Giornalista palestinese
Franco Vaia, Direttivo Filtea CGIL
Sergio Ricaldone, Consiglio Mondiale per la Pace
Luigi Marino, Responsabile Economia PdCI
Lidia Mangani, Direttivo Nazionale FLC – CGIL
Alvise Ferronato, “ No Dal Molin” – Vicenza
Giuseppe Ibba, Segreteria regionale PRC Sardegna
Ezio Lovato, Segretario Federazione PRC Vicenza
Ruggero Giacomini, Storico
Dario Gemma, ANPI- Comitato antifascista Alessandria
Libero Traversa, Direttivo ANPI Milano
Enzo Apicella, Vignettista-designer
Marino Severini, Musicista dei Gang
Giorgio Langella, Segretario PdCI - Vicenza
Da andremusa
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