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Nuove forme di lotta dei lavoratori e il ruolo dei Comunisti.



Di Alessandro Squizzato

 La mattina del 18 novembre gli operai dello stabilimento FIAT di Termini Imerese hanno occupato il municipio e hanno simbolicamente eletto uno di loro “sindaco degli operai” per richiamare l’attenzione delle istituzioni sulla loro trattativa con l’azienda che prevede di chiudere la produzione automobilistica dell’impianto per il 2011 (link: http://www.repubblica.it/2009/11/sezioni/economia/fiat-10/operai-occupano-municipio/operai-occupano-municipio.html).
Lo stesso giorno gli operai della Yamaha invece, che presto saranno lasciati a casa senza uno straccio di ammortizzatore dalla multinazionale giapponese, hanno consegnato alla stampa un appello rivolto a Valentino Rossi, in quanto pilota di punta e simbolo della casa motociclistica: “Adesso aiutaci a salvare il nostro posto di lavoro”, sperando nel “potere dei media” (link: http://www.unita.it/news/economia/91397/caro_valentino_rossi_siamo_disperati_aiutaci_a_salvare_il_posto).
Ancora più recente il blitz degli operai dell’Alcoa di Cagliari con l’occupazione degli uffici e il “sequestro” de dirigenti pubblicizzato tramite l’invio di un video mms alle agenzie e ad una web tv. (link: http://www.pdcitv.it/video/2486/Alcoa-occupata-dirigenti-sequestrati-video-shock)
Ormai la casistica inizia ad essere importante: dalla protesta della gru della INNSE, passando per le decine di casi di operai sui tetti di fabbriche e aziende, alla “serrata dei manager”, i consigli comunali occupati, l’occupazione degli uffici dell’Eutelia di Roma (con l’inquietate caso di squadrismo messo in campo dall’ex a.d. Landi) e via elencando fino agli esempi di questi giorni.
Il vero via era stato dato dai “rapimenti simbolici” di manager effettuati in Francia, dopo quei casi lo storico del movimento operaio Eric Hobsbawm con la solita lucidità aveva posto una questione: è nata una nuova forma d’azione operaia? (link: http://settoredemokratico.ilcannocchiale.it/2009/09/26/hobsbawm_sulle_proteste_operai.html)
Pratiche che vanno analizzate prima di tutto in quanto determinate dai tempi, lo spiega bene il passaggio dello stesso Hobsbawm:

‘Al giorno d’oggi i sequestri dei manager sono un’altra forma d’azione. Non credo abbia alcun senso classificarla come ‘primitiva’ o ‘non primitiva’.Si tratta piuttosto di ricercare nuove modalità d’azione che siano efficaci. Devo aggiungere che queste nuove forme d’azione sono ampiamente determinate dalle circostanze. E noi oggi abbiamo delle nuove circostanze che non esistevano in passato perché sappiamo di vivere all’interno di una ‘società mediatica’. Riuscire a dare il massimo di pubblicità alla propria azione, nel breve termine, e trovare un nuovo modo per farlo è una maniera perfettamente razionale di manifestare il proprio punto di vista.’

Almeno nello studio e nella comprensione di quanto sta accadendo insomma credo vada messo da parte l’atteggiamento – decisamente snob – di chi si limita a stigmatizzare la natura non tradizionalmente “sindacale” di queste proteste, per quanto ciò costituisca un problema. Siamo di fronte ad una casistica che va capita e affrontata, a partire dalla presa d’atto della razionalità di fondo che muove delle persone che hanno come unico scopo la difesa delle proprie condizioni di vita, non certo l’estetica o la “rappresentazione del conflitto”.
Per una vera comprensione del fenomeno servono trattazioni ben più accurate e qualificate ma provo a lanciare alcuni spunti.
Le azioni fortemente dimostrative, mediatiche sono certo frutto del forte potere che hanno ormai i media nell’opinione e anche nella mobilitazione pubblica. Basti pensare alla differenza di numeri che stiamo vedendo in questi giorni tra il movimento universitario di un anno fa, raccolto e rilanciato da importanti testate della carta stampata come dai TG, e quello di questi giorni, abbandonato dagli stessi media.
Ma non credo che tutto si limiti alla preminenza del potere mediatico, entra pesantemente in gioco la chiusura o la restrizione, ormai fattiva, di molti canali di lotta e rappresentanza tradizionali.
L’espulsione della vertenzialità e della rappresentanza del lavoro salariato dal Parlamento, coincidente all’espulsione della sinistra e alla professione di a-classismo del PD.
La perdita di potere rappresentativo e di attendibilità dei comunisti e della sinistra.
L’indebolimento dell’efficacia delle vertenze sindacali, causata dalla linea di preclusione di Governo e Confindustria verso la CGIL e connessa a ciò la separazione con CISL e UIL che hanno scelto di fare altro rispetto al tradizionale ruolo sindacale.
E ancora, il lento logorarsi della tradizionale solidarietà operaia e la sempre più diffusa abitudine dei lavoratori di ogni azienda di pensare ai problemi del lavoro come a problemi individuali, al massimo dei lavoratori della stessa azienda. La frammentazione contrattuale che ha incentivato questa deriva, i contratti a termine e le nuova (nemmeno più tanto) figura del lavoratore precario, non sindacalizzato e difficilmente sindacalizzabile.

Il primo grande potere di queste forme di protesta l’abbiamo già visto in atto: l’emulazione. Sono passate poche settimane dal “rapimento” dei manager in Francia alle lotte di casa nostra; queste pratiche rimpallate da un TG a un quotidiano si sono diffuse e ormai salire sui tetti è divenuto un simbolo.
Basta questo? Ovviamente no.

Limitarsi a mettere all’indice i connotati “irrituali”, poco politici delle proteste mediatiche sarebbe stupido ma ciò non toglie che dei problemi ci sono, anche questi forse mutuati dal contesto presente di degenerazione qualitativa della democrazia.
Ad esempio la quasi scomparsa di una compattezza politica delle rivendicazioni e delle lotte, la dinamica populista che mette in relazione operai sull’orlo della disperazione che si rivolgono direttamente ai potenti di turno per avere aiuto. Nel caso della Yamaha persino a un “VIP” dello sport.
Questo non è sempre vero certo, spesso c’è la FIOM o altre categorie sindacali che organizzano, ma non si può certo dire che in tutto ciò la consapevolezza politica goda di buona salute.
Manca un collante politico, ideologico certo ma basterebbe anche solo una proposta alternativa di società, da portare con sé sui tetti o dentro un ufficio occupato.
Ma questo è compito della sinistra politica, questo sarebbe compito nostro.

Appunto: noi?
Quale può essere il nostro ruolo in questo contesto, come passare da spettatori – quando non ne siamo coinvolti in prima persona – a partecipi, se non promotori, della lotta di classe e dell’opposizione sociale?
A maggior ragione come giovani militanti, con l’ottica di costruire una sinistra di classe nuova e del presente.

Anche qui è opera ambiziosa dare una visione completa, mi limito ad alcuni stimoli.
Io credo che prima di tutto dovremmo imparare la lezione: vedere, capire e replicare. Anche nell’azione politica la componente mediatica è divenuta troppo importante, di pari passo alla frammentazione sociale che ha reso difficilissimo (soprattutto per i modesti numeri della sinistra) il lavoro sul campo, “porta a porta”. Al secondo (che resta imprescindibile) va quindi aggiunta meglio e di più la capacità di attirare l’attenzione, usare le regole dei media contro il sistema che li produce; la differenza tra la scenata e la rivendicazione la fa la nostra capacità di mettere la visibilità al servizio della lotta politica concreta.
I poteri economici possiedono il mezzo e le redazioni, a noi toccherà – metaforicamente e non – scalare qualche tetto.

In secondo luogo penso sia fondamentale approfondire il nostro ruolo all’interno delle vere e proprie proteste dei lavoratori.
Le nostre scelte politiche e organizzative quali la centralità del tema del lavoro, l'interpretazione della lotta come scontro di classe, la valorizzazione dei territori devono esprimersi nella necessità di intessere relazioni di solidarietà, vicinanza e sostegno con i lavoratori prima degli “eventi” mediatici.
Quindi essere presenti con la logistica ma anche con una proposta politica alternativa – legata alla proposta di una società alternativa – improntata sull’unità delle rivendicazioni dei lavoratori, da discutere con gli interessati e portata (dove siamo presenti) nelle istituzioni.
Ancora: un’opera di studio e messa a sistema. Se le proteste sono molte e specifiche, occorre osservarne il più possibile per trovare delle trame, per mettere in collegamento, per valorizzarne i punti di contatto e identità. Occorre insomma fare “inchiesta” nel suo significato originale, volta all’azione politica, ma commisurata al presente.

Due azioni, quella della proposta e quella dell’inchiesta, volte all’obbiettivo politico più ambizioso che la FGCI assieme ad altre organizzazioni vicine si è data: unire le lotte. In prima luogo quelle di tutti i tipi di lavoratori e quindi quelle dei lavoratori con quelle degli studenti e con – aggiungerei io – quelle dei cittadini per la qualità democratica del paese.

Alessandro Squizzato
responsabile nazionale Lavoro
FGCI


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